Porto Vecchio: se vince il centro-sinistra forze sociali, economiche e cittadini coinvolti nelle scelte

Porto Vecchio: se vince il centro-sinistra forze sociali, economiche e cittadini coinvolti nelle scelte

Intervento di Laura Famulari, segretaria provinciale PD di Trieste, pubblicato sul quotidiano Il Piccolo il 2 aprile 2021

Il Porto Vecchio è la sfida su cui Trieste si gioca il futuro. Per questo, quando nel 2019 il Pd ha votato la delibera di indirizzo all’accordo di programma, abbiamo chiesto all’Amministrazione Dipiazza di avere coraggio. Sempre per questo, dopo ben due anni, abbiamo dovuto esprimere un voto negativo.

Porto Vecchio è un’occasione unica e irripetibile che non va sprecata per moltissimi motivi, ma soprattutto perché può essere la leva per invertire il drammatico calo demografico e attrarre i giovani che hanno abbandonato la città per la mancanza di opportunità di lavoro qualificato.

La Giunta Dipiazza sembra non averlo capito, e secondo noi ha sbagliato nel metodo e nel merito.

A cominciare dalla scelta di uno strumento – l’accordo di programma – che sacrifica la partecipazione dei cittadini, singoli o associati anche in gruppi di interesse, e sottrae alla cittadinanza la possibilità di contribuire a scegliere la direzione da prendere. È poi mancata la preparazione della discussione nei consigli circoscrizionali e in Consiglio comunale, segnando l’ennesima mancanza di rispetto per la funzione e le competenze di questi organi.

Guardando le carte, abbiamo visto che ci sono difformità rispetto agli indirizzi che parlavano di quota ridotta e complementare di residenzialità a fronte di una quota che ora può arrivare al 70% (circa dieci magazzini per mille abitanti). Il centrodestra si prende la responsabilità di una scelta simile in una Trieste che si sta desertificando: siamo sotto i 200 mila abitanti e abbiamo 10 mila alloggi sfitti.

Non solo mettono le mani in questo modo su Porto Vecchio, ma lo fanno senza nemmeno una valutazione dell’impatto sul resto della città. In particolare, se in quest’area si prospettano “trasferimenti” di funzioni oggi insediate nel centro cittadino, bisognerebbe stimare e gestire il contraccolpo anche attraverso il dialogo e la partecipazione di coloro che saranno investiti dalle conseguenze di queste dislocazioni.

Fedriga ha annunciato il trasferimento degli uffici regionali. Si tratta di una scelta discutibile dal punto di vista urbanistico in quanto comporterà la desertificazione, anche commerciale, delle zone dove attualmente quelle sedi si trovano. Questi impatti negativi non sono stati presi in considerazione né sono state valutate nuove ipotesi di destinazione degli immobili che rimarrebbero vuoti. Lo stesso recupero di quegli immobili rappresenterà un onere rilevante per la Regione, che potrebbe avere altre priorità di investimento.

A fronte di questa ipertrofia residenziale, c’è il nulla sull’innovazione, sull’industria leggera, nessun progetto sul green new deal, come esigono le richieste dell’Europa e le finalità del Recovery Fund. Soprattutto nulla per i giovani, per l’alta formazione, per la ricerca, per l’innovazione sociale, per attrarre nuovi abitanti.

Vogliamo parlare dei fondi appena stanziati dalla Regione per gli interventi? Stupisce che il Comune di Trieste li abbia ricevuti “in prestito” e quindi da restituire a carico dei triestini. In altri casi, ad esempio al comune di Monfalcone è andato un contributo a fondo perduto per la probabile realizzazione di un altro parco del mare.

Avevamo pensato al Porto Vecchio come a un’area alla portata di tutti in cui muoversi in modo sostenibile, e invece viene accantonato l’uso dell’infrastruttura ferroviaria che permette un collegamento a basso impatto ambientale e sostenibile economicamente. Al posto delle rotaie la giunta Dipiazza vuole l’ovovia, che dovrebbe nascere con fondi statali ancora da assegnare e senza un piano economico che ne sostenga i costi in futuro. Per tacere del connesso previsto aumento dei parcheggi.

A seguito di quanto previsto dalla Variante inoltre, gli immobili di proprietà del Comune non potranno che essere venduti al miglior offerente, aprendo la strada a processi non governati e di incerta capacità di sviluppo. La funzione del Consorzio Ursus, sotto questo profilo diventa chiara: “l’ambasciatore” che dovrebbe guidarlo farà sostanzialmente da agente immobiliare, andando alla ricerca di operatori ai quali proporre l’area come opportunità di investimento. Il punto è che in quell’area non basta creare dei contenitori, spostare uffici o costruire abitazioni d’élite.

Serviva un comitato strategico, che coinvolgesse le competenze che ci sono in questa città e fuori da essa, e che guardano con interesse a Porto Vecchio. Non si può pensare di poter fare tutto da soli. Per noi una società a maggioranza pubblica serviva, ma doveva avere la porta aperta alle grandi eccellenze delle città, quelle capaci di dialogare con il mondo e di apportare competenze. Abbiamo anche proposto di associare un grande soggetto pubblico che garantisca relazioni e finanziamenti. Ci ritroviamo un consorzio interamente pubblico con una dotazione iniziale di 300 mila euro e con una struttura debole in partenza, dato che le risorse umane saranno quelle degli enti pubblici soci che fanno fatica a gestire l’ordinario. Potrà questo soggetto guidare un’operazione straordinaria che reinventa ex novo un quinto della città?

Noi non ci rassegniamo a questa decadenza in cui tutto si quieta e si sopisce, per questo ci candidiamo a guidare la rinascita di Trieste.

 

Cronaca della crisi industriale di Trieste e del suo territorio, report evento

Resoconto dell’incontro promosso dal Forum Economia e Lavoro del PD di Trieste e svoltosi l’11 novembre 2019 presso il Circolo ACLI di San Giacomo

Sintesi a cura di Franco Codega, per chi desidera approfondire una video registrazione integrale dei lavori è disponibile sul canale You Tube del PD.

Interventi Introduttivi

On. Debora SERRACCHIANI
Capogruppo PD Commissione Lavoro Camera dei Deputati

Nelle situazioni di oggi, sempre in evoluzione, è necessario pensare a soluzioni che prevengano le crisi e non dover intervenire all’ultimo momento. È quello che ho cercato di fare quando ero presidente della regione.

Il Periodo più nero in Regione fu il 2015. Allora abbiamo cercato di accompagnare alcune crisi. Si spinse l’azienda, vedi Electrolux, a cambiare la propria produzione, renderla più innovativa, fare nuovi prodotti. Ciò anche con aiuti e fondi pubblici.

Così abbiamo fatto con la Ferriera. Abbiamo creduto nella opportunità di proseguire l’attività per garantire l’occupazione. Il sig. Arvedi ha messo molti soldi. Il laminatoio a freddo: può garantire fino a 700 posti di lavoro. Ora, a livello nazionale siamo di fronte ad una situazione paradossale: è l’unico tavolo al MISE in cui non si lavora per tenere aperta ma per chiudere una azienda!

Caso Wartsila: tre anni fa si voleva ridimensionare lo stabilimento. Warstila ha partecipato alla filiera dell’innovazione creata da Calenda all’interno della industria 4.0. Si provvide ad un investimento in Ricerca e sviluppo per fare motori nuovi: elettrici o ibridi. Si è andati avanti per qualche anno. Ora, cambiati anche i dirigenti tutto si è assopito, e ora ci sono poche commesse.

Come si è visto in questi tre casi che ho citato le Istituzioni hanno avuto un ruolo decisivo per il rilancio. Anche oggi c’è bisogno del loro intervento. Le Istituzioni locali ci devono dire dove vogliono andare: in quale direzione. I fondi necessari possono essere reperiti. Per es. c’è il fondo nazionale per la decarbonizzazione a a disposizione. Si potrebbe usare per la ferriera. Pensare di poter reimpiegare coloro che perdono lavoro in turismo o uffici pubblici non è realistico. C’è anche il fondo per il rinnovamento energetico cui si può ricorrere. Quindi non è tanto un problema di soldi, che in buona parte ci sono, ma è un problema di visione politica per il futuro.

Michele PIGA
Segretario generale CGIL Trieste

 L’economia del nostro territorio ha queste caratteristiche: il 10 % del PIL deriva dall’industria, il 5 % dall’edilizia, il restante 75 % per un terzo dalla intermediazione finanziaria, un terzo dalla pubblica amministrazione, un terzo dal terziario. Una economia debole pertanto e in questo contesto i piccoli cambiamenti possono avere effetti dirompenti.

La crisi industriale da cosa deriva? In alcuni casi da cattiva gestione. In altri casi, soprattutto quando si tratta di multinazionali, da uno scarso legame con territorio. I servizi all’impresa fanno difficoltà a rafforzarsi in quanto avrebbero bisogno di un bacino più ampio dell’industria da servire, che non c’è.

Il comparto industriale, per svilupparsi, ha bisogno della convergenza positiva di due contesti: il contesto locale e il contesto nazionale-europeo. Limitiamoci ora al locale.

In Italia ci sono 19 aree di crisi industriale complessa. Trieste è una di queste. Questa è una opportunità da giocare. Ci sono strumenti e capacità di investimento all’interno di questo territorio. Eppure alcuni problemi sono ancora fermi: per es. la questione del sito inquinato va ancora risolto. Ci sono ben 219 imprese artigiane che operano in quel territorio.

L’ex Ezit: rientra nella legge sui consorzi. Lì dentro c’è patrimonio. Il consorzio è per 52 % dell’autorità portuale, ma per il resto 48 % è delle istituzioni locali: del Comune di Trieste, Muggia e S. Dorligo.

C’è poi il porto, che da alcuni anni ha uno sviluppo positivo. Secondo noi, non avendo Trieste un entroterra per reperire materia prime, il porto deve diventare la sorgente di materie da poter lavorare, creando industrie manifatturiere nelle zone franche. In tali zone si possono rielaborare le merci che arrivano per sfornare prodotti industriali.

Il porto vecchio: è stata costituita alcuni mesi fa una società tra Autorità portuale, regione e comune: anche lì c’è patrimonio. Ma al momento non ci sono grandi idee.

C’è la presenza della università e degli Enti di ricerca di prim’ordine. Tutti ne parlano ma non c’è mai una sintesi operativa che metta davvero a sistema i due comparti.

Eppure lo strumento per realizzare tutte queste cose c’è: è l’Accordo di crisi industriale complessa. Ivi si può trovare la sintesi e reperire i fondi, ma bisogna saper mettere in atto una programmazione globale. Per fare questo però c’è bisogno di un apporto costante e reale delle istituzioni locali. Ed è quello che oggi manca. Il sindaco non c’è. Anche la Giunta regionale dovrebbe fare la sua parte. Da qui lo sciopero dei sindacati confederali proclamato per il 15 novembre. Ben 1.500 posti di lavoro sono a rischio.

Dibattito e interventi conclusivi

 

On. SERRACCHIANI : Il quadro internazionale. C’è una crisi del mercato dell’acciaio in generale. C’è una sovrapproduzione. Gli americani non importano più acciaio, bastano a loro stessi. Questo ha comportato in Europa l’invasione dell’acciaio fatto in Cina e in Turchia. L’Europa non ha ancora preso una posizione sull’acciaio che viene da fuori Europa. Fino all’arrivo di non più del 25% non pagano alcun dazio. Solo dopo pagano. Quindi fino al 25% arriva con il prezzo iniziale di produzione, che è più basso del nostro. Fino ad oggi l’Italia importa circa 4 miliardi di tonnellate di acciaio. E siamo il secondo paese produttore di acciaio in Europa, dopo la Germania. Un intervento pertanto necessario è che L’Europa intervenga a mettere dazi anche al di sotto del 25%.  Poi c’è un tema degli impianti italiani: sono vetusti. Il caso dei Riva è eclatante: acquistano per poco l’impianto di Taranto e non hanno fatto interventi di ristrutturazione e risanamento ambientale.

L’acciaio che viene fuori da un forno elettrico è di minore qualità rispetto a quello che viene fuori da un impianto a caldo. Quest’ultimo fa l’acciaio “piano” , il migliore , quello che serve per l’industria dell’automobile.  È il migliore ma ora le richieste sono in calo perché c’è anche la crisi dell’automobile. Comunque l’Italia non può rinunciare alla produzione di acciaio. Lo ha detto anche il ministro Patuanelli. Certo c’è la questione ambientale. Ma diciamocelo chiaro: Il quartiere Tamburi andrebbe svuotato e spostato. 

Sull’acciaio quindi il Paese deve interrogarsi cosa vuol fare. Noi, a suo tempo, facemmo la nostra scelta: Sulla Ferriera ci sono finiti 240 milioni di euro, per il rilancio industriale e per il risanamento ambientale. E i miglioramenti sul piano ambientale sono stati notevoli. Ed è significativo che oggi si vuole chiudere l’area a caldo, per scelte politiche non per problemi ambientali.

Decarbonizzare : mantenere la aree a caldo utilizzando non il carbone , ma il gas. La qualità resterebbe elevata. Però ciò richiede investimenti per la modifica degli impianti. Per l’Ilva per es. si potrebbe utilizzare il gas che arriverà dal FAP. Ma i fondi nazionali per la transizione industriale servono proprio a questo! Uno degli esempi della decarbonizzazione ce l’abbiamo a Monfalcone. La centrale A2A.

Il PD nella attuale manovra finanziaria ha preteso che ci siano 50 miliardi nei prossimi 15 anni per l’economia verde. Ma bisogna essere consapevoli che questa economia verde, in una prima fase e in alcuni settori rischia di far perdere posti lavoro invece che crearli. Es, la CONTINENTAL, azienda che in Toscana fa pezzi di ricambio per le macchine, ha deciso la riconversione per macchine elettriche. Farà solo batterie. Ciò comporta la riduzione da 1000 a 500 operai.

L’essere una area industriale complessa, non è sfiga, ma opportunità: ci sono tanti soldi da poter sfruttare.  È necessario però un Articolato e preciso Accordo di programma. Patuanelli ha già messo a disposizione 120 milioni per due aree industriali complesse, tra cui Trieste. In questo contesto in quale maniera l’attuale processo di sviluppo del Porto può essere messo a frutto?

INTERLOCUTORE DEL PUBBLICO: nel mondo il 70% dell’acciaio è prodotto con l’altoforno, il 30 % con l’elettrico. Perché la Lega a Taranto vuol mantenere aperto e qui con Fedriga vuole chiudere? Qui la situazione è notevolmente migliorata dal punto di vista ambientale. Quindi se Taranto va avanti deve a maggior ragione andare avanti anche Trieste.

PIGA: Il punto franco è una grande opportunità ma deve essere ancora risolto il piano fiscale. C’è un Problema di chiarimento sulla questione IVA e Dazi. Il chiarimento va fatto con l’agenzia delle dogane, Agenzia delle entrate e il Mise di Roma. Una volta chiarito questo, c’è spazio per lo sviluppo del manifatturiero in queste zone.

On. SERRACCHIANI: siamo tutti alla ricerca di un filo conduttore che tenga insieme tutti questi ragionamenti. Per giungere ad una proposta finale che tenga conto di tutti gli elementi dobbiamo continuare il percorso di analisi e di confronto, anche con le forze sociali della città.

Porto franco Internazionale. Il decreto di Delrio del 2017 ha introdotto il pezzo della procedura amministrativa che mancava da decenni e che finalmente ha sbloccato la partita. Ma non basta ancora.

Necessita un chiarimento con L’Agenzia delle dogane, l’Agenzia del territorio e l’Agenzia delle entrate. Per loro non è chiaro cosa significhi “Porto franco internazionale “. Da ultimo sarebbe finalmente da prendere in considerazione la nuova direttiva europea sull’IVA che non è mai stata applicata e che sarebbe per noi una grande opportunità. Il compito attuale delle istituzioni è proprio quello di definire il quadro, tenendo conto di tutti gli elementi e avanzare la proposta di sintesi. Ultima nota, riguardo a Servola : Io sto dalla parte del lavoro, perché solo se ci sarà il lavoro proseguirà il risanamento ambientale.

Crollo piscina Acquamarina: Famulari, serve progettualità

Crollo piscina Acquamarina: Famulari, serve progettualità

“Tirato il doveroso sospiro di sollievo perché un possibile dramma non si è verificato, adesso bisogna capire con precisione quanto è accaduto, se e a chi vanno attribuite responsabilità. Soprattutto però il compito del Comune è quello di riattivare nei tempi più brevi un servizio di cui la cittadinanza fruisce da quasi vent’anni: è chiaro che il futuro della piscina terapeutica va progettato inserendolo un quadro di riferimento complessivo”. Lo afferma la segretaria provinciale del Pd di Trieste Laura Famulari, a proposito del recente crollo del tetto della piscina comunale ‘Acquamarina’, sulle Rive cittadine.

“Prima di annunciare che anche questa struttura finirà in Porto Vecchio, quasi fosse il magazzino dove finiscono tutte le idee di Dipiazza – aggiunge Famulari – sarebbe meglio fare un punto progettuale. Anche perché un altro parcheggio sulle rive non lo auspichiamo davvero”.

Trieste: Famulari, ok a Porto Vecchio per aggregazione. Ma bisogna programmare non improvvisare

Trieste: Famulari, ok a Porto Vecchio per aggregazione. Ma bisogna programmare non improvvisare

Porto vecchio può offrire soluzioni alle esigenze di aggregazione e di svago della città e diventare un polo di attrazione per tutto l’hinterland, ma bisogna pensarci per tempo, programmare e non improvvisare. Se Dipiazza intende andare seriamente in quella direzione cominciamo a discutere modi e tempi con esperti, e all’interno di una visione complessiva dell’area. Al momento questa visione è ancora molto parziale, e non si può tirar fuori dal taschino Porto vecchio come risposta alle varie domande che di volta in volta la città presenta, dai parcheggi alla scienza agli spazi per i giovani”.
 
Lo afferma la segretaria provinciale del Pd di Trieste Laura Famulari, commentando l’ipotesi del sindaco di Trieste Roberto Dipiazza, secondo il quale in Porto vecchio “sarà giusto prevedere anche per i giovani delle situazioni in cui divertirsi in sicurezza”. Per la segretaria dem
 
Trieste non può diventare la città dei ‘no’, soprattutto se sono quelli di Polidori con cui ci facciamo ridere addosso da mezza Europa quando va bene. Ma per fortuna c’è una differenza sostanziale tra la ‘sicurezza’ e il ‘comune senso del pudore’ del vicesindaco e il lavoro quotidiano della Questura e della Polizia locale. E allora ok alla prevenzione di situazioni che possono essere pericolose o moleste, ma guidati dal buon senso. Soprattutto non restiamo a guardare – aggiunge Famulari – i fenomeni che crescono sotto i nostri occhi senza far niente. Sappiamo che Trieste diventerà sempre più una città in cui si viene da fuori anche per l’offerta di qualità del tempo libero: una buona amministrazione deve guidare questo sviluppo”.
Museo del Mare in Porto Vecchio: progressi e interrogativi aperti

Museo del Mare in Porto Vecchio: progressi e interrogativi aperti

Il futuro del Museo del Mare in Porto Vecchio è stato oggetto di discussione in commissione la scorsa settimana: si tratta di un tema di grande rilevanza per l’assetto dell’offerta culturale della città, sul quale un’interrogazione presentata dal nostro consigliere Giovanni Barbo nell’agosto 2018 è ancora in attesa di risposta.

Nel frattempo, il progetto è andato avanti: il Comune è in attesa di un certificato prevenzione incendi che consenta di aumentare la capacità ricettiva del Magazzino 26 (attualmente limitata a 300 persone) e intende spostare lì entro primavera 2020 il contenuto dell’attuale Museo del Mare e quello del Magazzino 18. Tra gli elementi positivi emersi in commissione, vi è la notizia che il Museo della Bora e il Museo dell’Antartide andranno a far parte del nuovo Museo del Mare, così come la disponibilità da parte dell’amministrazione a ragionare sull’intitolazione del nuovo museo a Ressel.

Lascia invece estremamente perplessi il fatto che non ci sia ancora un’ipotesi o un modello di gestione: con che personale il Comune intende far funzionare il Museo? Con quali collaborazioni scientifiche, dall’Università agli enti di ricerca? I rappresentanti Pd in commissione hanno anche chiesto che venga ripreso il dialogo con Italia Marittima per il passaggio al Comune di quella consistente parte dell’archivio del Lloyd Triestino che ancora giace nei loro archivi.

È invece decaduta la suggestiva ipotesi di utilizzo a fini anche espositivi del bacino 0, attiguo ai magazzini 24 e 25. Si tratta, in un certo senso, di dettagli, ma considerato che il polo museale dovrebbe diventare uno dei grandi attrattori della città, l’intero gruppo del Partito Democratico intende approfondire ogni aspetto del progetto, continuando a chiedere chiarimenti e a proporre idee.