Intervento di Štefan Čok a nome del Gruppo del PD alla Provincia di Trieste in occasione della Commemorazione del “Giorno del ricordo” tenuta il 9 febbraio 2012.
“Vorrei innanzitutto ringraziare la presidente Bassa Poropat ed il presidente Vidali per aver organizzato l’incontro di oggi, a testimoniare ancora una volta una sensibilità verso gli avvenimenti del nostro passato tanto doverosa quanto apprezzabile.
Parlare di un evento drammatico della storia è relativamente facile quando si tratta di qualcosa che fa parte della memoria collettiva della comunità alla quale ti senti di appartenere. Cosa più complessa ma non meno necessaria è parlare degli eventi drammatici rimasti nel ricordo di chi ti sta accanto, delle comunità che con te stesso condividono uno stesso territorio e la stessa storia, seppur probabilmente vista da prospettive, memorie, sentimenti diversi. È proprio per questi motivi che sento forte la necessità di intervenire oggi in occasione della commemorazione del Giorno del Ricordo. Giorno istituito tramite una legge che nel suo primo articolo dice che “La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale «Giorno del ricordo» al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale.
La più complessa vicenda del confine orientale: è questo il punto fondamentale che mi pare vada sottolineato e che rappresenta la testimonianza di uno sforzo del Parlamento di inserire gli avvenimenti del passato nel loro contesto.
Ricordo il Giorno del Ricordo come uno dei primi argomenti che mi capitò di affrontare avvicinandomi all’attività politica quando, partecipando per la prima volta ad un’assemblea di Sloveni aderenti al partito in cui ho militato prima che quest’ultimo confluisse nella più grande realtà del Partito Democratico, questo tema era al centro del dibattito. Si era nel febbraio-marzo 2004 e la legge era appena stata approvata o era ad un passo dall’essere approvata. In quell’occasione ebbi modo di dire, non mi ricordo ovviamente le esatte parole ma il concetto era quello, che ritenevo la decisione di giungere ad una legge di questo tipo giusta ma che temevo che passasse il messaggio, nell’opinione pubblica italiana aldilà dell’Isonzo per così dire dove questi temi sono meno conosciuti, che passasse il messaggio degli Sloveni o degli “Slavi” in generale presenti nella storia italiana (o viceversa) come infoibatori, trascurando tutto quanto avvenuto prima e dopo. È un timore che in parte ritengo ancora di poter avere, se penso per esempio a quanto avvenne l’anno scorso quando circolò in vari comuni d’Italia un manifesto per il giorno del ricordo con una foto, che palesemente faceva pensare che fossero vittime italiane fucilate da jugoslavi e che invece rappresentava civili sloveni fucilati dal Regio Esercito nel 1942 in Slovenia. Cito questo fatto solo per testimoniare quanto lavoro ci sia ancora da fare e come sia convinto di quanto detto in altre occasioni, cioè che la politica deve stare molto attenta nell’approcciare la storia per non provocare pasticci.
Ma non posso non ricordare anche altri eventi. Molti si ricordano del discorso del presidente della repubblica Giorgio Napolitano per il giorno del ricordo 2007, il discorso in cui si parlò dell’espansionismo slavo. Meno numerosi sono coloro i quali si ricordano del discorso per il 10 febbraio 2009, […]. Io me ne ricordo ancora poiché parti di quel discorso vennero citate dai principali telegiornali nazionali. Ricordo che mi sentii allora orgoglioso del nostro Presidente che con quel discorso aveva testimoniato come lo Stato italiano nel suo più alto rappresentante si dimostrava consapevole dei drammi passati di queste terre, si faceva carico di preservarne la e le memorie nella sua interezza e forte di questa presa di coscienza cercava il dialogo con i propri vicini.
Sono questi gli approcci che hanno consentito a tre grandi presidenti di paesi vicini di incontrarsi a Trieste, quasi due anni fa, e di segnare quella che è stata una giornata storica per questa città.
Ciò che noi oggi possiamo fare, ciò che siamo tenuti a fare, è di preservare la memoria di quanto è successo nel corso del drammatico secolo breve che sta alle nostre spalle. Farlo in modo aperto e umile, approccio che è particolarmente necessario soprattutto per la politica. E farlo sapendo quanto i drammi del Novecento abbiano nuociuto a quella grande area di mescolanza, di compenetrazione e di contatto che va da Tarvisio giù giù sino agli estremi lembi meridionali della Dalmazia, dove mondo italiano e mondo sloveno e croato si incontrano.
Ciò che ci lascia il XX secolo non sono solo le memorie degli eventi luttuosi del passato. È anche un generale impoverimento culturale dovuto al fatto che a lungo si è pensato che il miglior modo di risolvere i problemi di convivenza delle aree interculturali e mistilingue fosse quello di normalizzarle, di eliminarne le caratteristiche plurali.
Noi possiamo combattere questo impoverimento in molti modi, soprattutto pensando non solo alla preservazione ed allo sviluppo della propria comunità di riferimento ma anche a chi ci sta vicino. Così come è più facile ricordare i torti subiti che quelli fatti è anche più facile lottare per i propri diritti che per i diritti di chi ci sta vicino. Ma cambiare questa mentalità è ciò che ci serve, accogliere con favore ogni iniziativa che porti ad arricchire nuovamente il bagaglio culturale di queste terre, si tratti di un corso di sloveno o della riapertura di un asilo con lingua d’insegnamento italiana a Zara.
Lo possiamo fare anche nei nostri piccoli gesti quotidiani, badando per esempio a non essere indifferenti quando ci capita, banalmente, di discutere con i nostri conoscenti, siano essi triestini o provenienti dalle altre parti d’Italia, delle nostre terre. Vedete, io non mi rassegno a che parlando con un italiano questi mi guardi con incertezza quando gli dico che sono stato a Lesina, Veglia o Abbazia e che capisca a cosa mi sto riferendo solo se gli parlo di Hvar, Krk, Opatija. Vuol dire che qualcosa non funziona se riconosce il nome in croato e non il nome italiano di una località Sono luoghi che hanno identità e storia plurali e così devono essere, declinati nei loro bei nomi che esistono in forma originale nelle diverse lingue che li abitano. E lo stesso deve valere naturalmente, lo do per scontato, anche in senso inverso.
Allora forse, se riuscissimo tutti noi a comprendere le ragioni del vicino, a capire che un Lesina in più da una parte o anche un Trst in più dall’altra non sono una minaccia ma un’opportunità, una ricchezza, una cosa bellissima che non molte parti del mondo hanno e che dobbiamo gelosamente custodire e sviluppare forse anzi sicuramente non potremmo cambiare gli eventi che sono alle nostre spalle. Ma potremmo rendere un grande servigio alle nostre generazioni ed a chi verrà dopo di noi.”